La temperatura è un fattore cruciale per ottenere un impasto di qualità. In particolare, per la pizza, la temperatura ideale dell’impasto varia dai 22 ai 26 gradi Celsius. Durante l’impastamento, la temperatura dell’acqua, della farina, dell’ambiente e quella generata dall’impastatrice sono fattori che influenzano la temperatura finale dell’impasto. È quindi importante misurare e controllare la temperatura dell’acqua per ottenere un impasto alla temperatura desiderata. Come controllare la temperatura dell’impasto Per calcolare la temperatura dell’acqua necessaria per ottenere l’impasto alla temperatura desiderata, è possibile utilizzare una formula che tiene in considerazione la temperatura della farina, dell’ambiente e il tipo di impastatrice utilizzata. Ad esempio, se si desidera terminare l’impasto a una temperatura di 22°C, bisogna moltiplicare questo valore per tre e sottrarre la somma delle temperature della farina, dell’ambiente e dell’impastatrice. Il risultato ottenuto sarà la temperatura dell’acqua da aggiungere all’impasto. La formula può essere scritta come: Temperatura dell’acqua = Temperatura finale desiderata x 3 – (Temperatura della farina + Temperatura dell’ambiente + Grado di surriscaldamento dell’impastatrice) La temperatura della farina e dell’ambiente possono essere facilmente misurate con un termometro, mentre il grado di surriscaldamento dell’impastatrice dipende dal tipo di macchina utilizzata. In genere, le impastatrici a forcella generano un riscaldamento dell’impasto di circa 3°C, quelle a bracci tuffanti di circa 6°C e quelle a spirale di circa 9°C. Una volta ottenuta la temperatura dell’acqua necessaria per ottenere l’impasto alla temperatura desiderata, è possibile procedere con l’impastamento. Durante questo processo, è importante monitorare costantemente la temperatura dell’impasto per assicurarsi che sia nella giusta fascia termica per garantire una lievitazione equilibrata. Oltre alla temperatura, ci sono altri fattori che influenzano la lievitazione dell’impasto. La qualità della farina, la presenza di zuccheri semplici e di malto, e la percentuale di sale sono tutti fattori che possono influenzare la fermentazione e le proprietà fisiche dell’impasto. L’importanza della temperatura e dell’umidità dell’ambiente Anche la temperatura e l’umidità dell’ambiente possono influenzare la lievitazione dell’impasto. Il lievito ha un’attività minima a temperature intorno ai 2-4°C, mentre raggiunge le condizioni ideali di fermentazione a temperature tra i 20 e i 30°C. È quindi importante tenere sotto controllo la temperatura dell’ambiente durante la lievitazione dell’impasto per garantire una fermentazione ottimale. La temperatura dell’impasto è particolarmente importante durante la gestione dell’impasto in frigorifero. Se viene terminato a una temperatura troppo fredda, la lievitazione potrebbe non avviarsi correttamente, mentre se viene terminato a una temperatura troppo calda, la lievitazione potrebbe avvenire troppo rapidamente, rendendo difficile la gestione. È quindi importante controllare la temperatura prima di metterlo in frigorifero per garantire una fermentazione uniforme e una lievitazione equilibrata. In sintesi, la temperatura è un fattore fondamentale nella preparazione dell’impasto per la pizza e la sua lievitazione. È importante controllare la temperatura dell’acqua e dell’ambiente durante la preparazione dell’impasto per ottenere un prodotto di qualità e garantire una fermentazione ottimale. Inoltre, la gestione dell’impasto in frigorifero richiede particolare attenzione alla temperatura per ottenere una lievitazioneuniforme e una pizza perfetta. Tenere d’occhio la temperatura durante l’intero processo di preparazione dell’impasto è essenziale per ottenere un prodotto finale di alta qualità e soddisfare le aspettative dei clienti. Anche se l’impasto perfetto non esiste, la ricerca della perfezione attraverso la gestione accurata della temperatura è una sfida continua per ogni professionista che si dedica alla preparazione della pizza.
Come fare una panatura perfetta, croccante o pastellata
La panatura è una tecnica culinaria che consiste nel ricoprire un alimento, con uno strato di pangrattato, pastelle o altri ingredienti secchi, per renderlo più croccante e saporito. Esistono diverse varianti di panatura, alcune più semplici, altre più elaborate, ma tutte hanno in comune l’uso della farina, un elemento fondamentale per garantire una buona riuscita. Ma quale farina scegliere per una panatura perfetta? E come usarla al meglio? La farina è una polvere ottenuta dalla macinazione dei cereali, in particolare del frumento, che può essere di due tipi: duro o tenero. Il frumento duro ha un chicco più resistente e dà origine a una farina più grossa, chiamata semola, usata per fare la pasta. Il frumento tenero ha un chicco più morbido e dà origine a una farina più fine, chiamata farina bianca, usata per fare il pane e i dolci. La farina bianca si distingue in base alla sua raffinazione, indicata da un numero: le tipo 00 e 0 sono le più raffinate, le tipo 1 o 2 sono le più integrali. La farina di frumento tenero ha una buona elasticità, una bassa tenacità e una scarsa capacità di assorbire l’acqua, per questo è adatta per fare i lievitati. La farina di frumento duro ha una bassa elasticità, una alta tenacità e una elevata capacità di assorbire l’acqua, per questo è adatta per fare la pasta. La farina di frumento tenero ha un contenuto proteico inferiore a quello della farina di frumento duro, anche se ci sono farine molto diverse tra loro. Per sapere che tipo di farina abbiamo a disposizione, dobbiamo controllare qual è la sua forza, indicata sulla confezione con una W. La forza è la proprietà della farina di formare la rete glutinica durante la lavorazione. Conoscere la forza della farina è molto importante quando dobbiamo fare dei lievitati ma anche quando dobbiamo panare i nostri alimenti. Le farine forti (con un W tra 280 e 350) sono ottime per i lievitati, se impastate bene sviluppano molto glutine. Le farine di media forza hanno un valore W compreso tra 180 e 260, le farine deboli sono ideali per i dolci friabili e hanno una W inferiore a 170. Se sull’etichetta non è indicato il W ricordate che le farine deboli hanno circa l’8% di proteine totali, le medie 11%, le forti circa il 14%. Quindi per una panatura leggera e che non diventi appiccicosa scegliete una farina debole. La forza della farina non riguarda solo la farina di frumento tenero, farine come quella di avena, riso, farro, segale o miglio sono farine deboli, mentre, come dicevamo prima, quella di frumento duro è considerata forte. Usare queste farine deboli nelle nostre panature permette di creare una barriera protettiva sull’alimento che ne trattiene i succhi impedendo che bagnino la panatura. Ci sono molte ricette per fare una panatura perfetta. Alcune usano solo il pangrattato, altre lo modificano aggiungendo uova, quelle più tradizionali prevedono tre passaggi fondamentali. L’alimento prima di tutto viene infarinato in modo uniforme, poi si passa al bagno nell’uovo sbattuto e solo alla fine si procede con la panatura vera e propria. Un’altra tecnica di panatura molto diffusa è quella della pastella di acqua e farina, che consiste nel immergere l’alimento in una miscela liquida di farina e acqua, eventualmente aromatizzata con spezie o erbe, e poi friggerlo in abbondante olio caldo. La pastella crea una crosta croccante e leggera, che isola l’alimento dal contatto diretto con l’olio e ne preserva il sapore e la morbidezza. La pastella di acqua e farina è adatta per panare verdure, pesce, formaggi e anche frutta. Per fare una buona pastella di acqua e farina, bisogna seguire alcuni semplici consigli: – Scegliere una farina debole, come quella di riso, di mais o di frumento tipo 00, che non sviluppa troppo glutine e rende la pastella più fluida e friabile. – Usare acqua fredda. – Aggiungere un pizzico di sale e di bicarbonato, che regolano il pH della pastella e ne migliorano la lievitazione e la doratura. – Mescolare bene la farina con l’acqua, usando una frusta o un mixer, fino a ottenere una pastella liscia e senza grumi, con una consistenza simile a quella della panna liquida. – Lasciare riposare la pastella in frigorifero per almeno mezz’ora, coperta con della pellicola, per farla rassodare e per far sì che la farina assorba bene l’acqua. – Scaldare bene l’olio in una padella capiente e profonda, portandolo a una temperatura di circa 180°C, controllabile con un termometro da cucina o con un pezzetto di pane, che deve friggere in pochi secondi. – Asciugare bene l’alimento da panare con della carta assorbente, per eliminare l’umidità in eccesso, e poi passarlo nella pastella, facendo scolare la parte in più. – Friggere l’alimento nella pastella, pochi pezzi alla volta, per non abbassare troppo la temperatura dell’olio, e rigirandolo delicatamente con una schiumarola, fino a quando non diventa dorato e croccante. – Scolare l’alimento fritto su della carta assorbente, per eliminare l’olio in eccesso, e poi servirlo caldo o tiepido, accompagnato da salse o contorni a piacere. La pastella di acqua e farina è una panatura semplice ma gustosa, che si presta a molte varianti e personalizzazioni. Per esempio, si può aggiungere alla pastella della birra, del vino, del latte o del succo di limone, per dare più sapore e leggerezza. Si può anche arricchire la pastella con delle spezie, come il curry, il paprika, il pepe, il cumino o lo zafferano, per dare più colore e aroma. Si può infine aggiungere alla pastella delle erbe aromatiche, come il prezzemolo, il basilico, il rosmarino o la menta, per dare più freschezza e profumo. E chi meglio del BOSS della panatura, della pastella e dei fritti poteva spiegarci al meglio queste tecniche? Il Maestro Roberto Verlezza, che propone piatti in stile “foodporn” nel suo KMzero ad Angri, ci ha svelato i suoi segreti per una pastella perfetta in una Masterclass tenutasi nell’istituto alberghiero “Domenico Rea” di Nocera.
Come scegliere la farina in base all’assorbimento
Se vi piace fare il pane, la pizza, la pasta o altri prodotti da forno, sapete bene che la farina è l’ingrediente principale e che non tutte le farine sono uguali. Ogni farina ha delle caratteristiche specifiche che la rendono più o meno adatta a un determinato impiego. Una di queste caratteristiche è l’assorbimento, ovvero la capacità della farina di assorbire acqua e formare un impasto di consistenza adeguata. Ma come si misura l’assorbimento della farina e come si sceglie la farina più adatta al tipo di prodotto che vogliamo realizzare? In questo articolo vi spiego tutto quello che c’è da sapere sull’assorbimento della farina e ti darò alcuni consigli pratici per ottenere il meglio dai tuoi impasti. Cos’è l’assorbimento della farina e da cosa dipende. L’assorbimento della farina è la quantità di acqua necessaria per ottenere un impasto di consistenza adeguata, né troppo duro né troppo morbido. Questa quantità dipende da vari fattori, tra cui: n – La qualità e la quantità del glutine, la proteina che conferisce elasticità e tenacità all’impasto. Il glutine si forma quando la farina viene impastata con l’acqua e si lega alle molecole di amido, creando una rete che trattiene l’aria e il vapore acqueo. Più il glutine è forte e resistente, più l’impasto può assorbire acqua senza rompersi o appiccicarsi. n – La granulometria della farina, ovvero la dimensione delle particelle che la compongono. Più la farina è fine, più ha una superficie maggiore a contatto con l’acqua e quindi più può assorbirla. Al contrario, una farina più grossolana ha una superficie minore e quindi assorbe meno acqua. n – Le condizioni ambientali, come la temperatura, l’umidità e la pressione atmosferica. Questi fattori influenzano la capacità della farina di assorbire acqua. Come si misura l’assorbimento della farina Per misurare l’assorbimento della farina si usa un’apparecchiatura chiamata farinografo di Brabender Inventata nel 1928 dal chimico tedesco Carl Wilhelm Brabender. Il farinografo è una macchina che impasta la farina con una quantità di acqua nota e registra la resistenza dell’impasto con una penna che traccia una curva su un grafico. Il farinografo fornisce due valori principali: l’assorbimento, espresso in percentuale, e la stabilità, espressa in minuti. L’assorbimento indica quanta acqua è stata assorbita dalla farina, mentre la stabilità indica quanto tempo l’impasto ha mantenuto una consistenza costante. Questi valori sono utili per scegliere la farina più adatta al tipo di prodotto da realizzare, tenendo conto anche del W, che indica la forza della farina. Come si sceglie la farina in base all’assorbimento La scelta della farina in base all’assorbimento dipende dal tipo di prodotto che vogliamo realizzare e dalle nostre preferenze personali. In generale, possiamo dire che: n – Per prodotti soffici e leggeri, come il pane, la pizza, la focaccia, i croissant, le brioches, i muffin, le torte, ecc., si preferiscono farine con un alto assorbimento, una buona stabilità e una forza media-alta. Queste farine permettono di ottenere impasti morbidi e ben lievitati, con una buona alveolatura e una crosta croccante. n – Per prodotti compatti e consistenti, come la pasta, i biscotti, i cracker, le frolle, le sfoglie, ecc., si preferiscono farine con un basso assorbimento, una bassa stabilità e una forza bassa-media. Queste farine permettono di ottenere impasti duri e poco lievitati, con una buona tenuta alla cottura e una consistenza friabile o sfogliata. n Per facilitare la scelta della farina, possiamo consultare una tabella che mette in correlazione la percentuale di proteine, l’assorbimento, la stabilità e il W con alcuni esempi d’uso della farina. In generale, per prodotti soffici e leggeri si preferiscono farine con un alto assorbimento, una buona stabilità e una forza media-alta, mentre per prodotti compatti e consistenti si preferiscono farine con un basso assorbimento, una bassa stabilità e una forza bassa-media. nn Alcuni suggerimenti per sperimentare con le diverse farine sono: nn – Prova a mescolare farine diverse tra loro per ottenere impasti con caratteristiche intermedie o particolari. Ad esempio, puoi mescolare una farina forte con una farina debole per ottenere una farina media, oppure puoi mescolare una farina di grano con una farina di mais, di segale, di farro, ecc. per ottenere impasti con sapori e colori diversi. n – Regola la quantità di acqua in base alla farina che usi e alle condizioni ambientali. Se la farina ha un alto assorbimento, dovrai usare più acqua per ottenere un impasto morbido, mentre se la farina ha un basso assorbimento, dovrai usare meno acqua per ottenere un impasto duro. Inoltre, se l’ambiente è caldo e umido, dovrai usare meno acqua, mentre se l’ambiente è freddo e secco, dovrai usare più acqua. n – Controlla il tempo di impasto e di lievitazione in base alla farina che usi e al prodotto che vuoi ottenere. Se la farina ha una buona stabilità e una forza media-alta, dovrai impastare più a lungo per sviluppare bene il glutine e ottenere un impasto elastico e tenace. Se la farina ha una scarsa stabilità e una forza bassa-media, dovrai impastare meno per evitare di rompere il glutine e ottenere un impasto estensibile e friabile. Inoltre, se il prodotto che vuoi ottenere è soffice e leggero, dovrai lasciare lievitare più a lungo l’impasto per farlo gonfiare bene, mentre se il prodotto che vuoi ottenere è compatto e consistente, dovrai lasciare lievitare meno l’impasto per mantenerlo compatto. nn Spero che questo articolo ti sia stato utile e ti abbia dato la voglia di sperimentare con le diverse farine.
Il Sale e i Suoi Effetti negli Impasti
Il sale, noto come “oro bianco” della cucina, svolge un ruolo vitale negli impasti per la pizza. Ha molteplici effetti sulle caratteristiche strutturali, igieniche ed estetiche dell’impasto. Prima di esplorare questi effetti, è interessante riflettere sulla storia del sale e sul suo declino commerciale, in parte dovuto alla sua abbondanza e alla facilità di estrazione dalle rocce e dai giacimenti sotterranei, nonché dall’acqua di mare. Il Passato del Sale n In passato, il sale era considerato così prezioso da essere paragonato all’oro e alla seta. Era un bene fondamentale per le economie e poteva scatenare persino conflitti per il suo controllo. Gli Stati monopolizzavano la distribuzione del sale, punendo severamente i contrabbandieri. n Esistono due categorie principali di sale in commercio: il sale marino, ottenuto per evaporazione dell’acqua di mare nelle saline, e il salgemma estratto da giacimenti sotterranei. nn Ruolo del Sale negli Impasti per Pizza n Nell’impasto per pizza, è consigliabile utilizzare il sale marino, poiché conferisce sapore ed ha la capacità di rafforzare la struttura del glutine, specialmente nelle farine a basso contenuto proteico. Il sale interagisce con la gliadina, rendendo il glutine più compatto. Tuttavia, un eccesso di sale renderà l’impasto troppo rigido. La quantità ottimale di sale varia tra il 2% e il 3%. Inoltre, il sale influenza il lievito, riducendo la produzione di anidride carbonica. n Il sale ha proprietà antisettiche e antiossidanti, che contribuiscono a conservare l’impasto per più giorni, impedendo la proliferazione di batteri e ritardandone l’ossidazione. Inoltre, migliora l’aspetto del prodotto finito, conferendo un colore più pronunciato al cornicione e una maggiore croccantezza alla pizza. Dimenticare il sale produrrà un impasto appiccicoso, molle, di scarsa consistenza e difficile da lavorare. Inoltre, la caramellizzazione sarà assente, e vi sarà un eccessivo sviluppo fermentativo. Ruolo del Sale e del Lievito negli Impasti. nn Approfondimento Tecnico n Nell’impasto per pizza, il sale e il lievito svolgono ruoli distinti ma interconnessi, influenzando direttamente le proprietà chimiche e fisiche dell’impasto. nn Il Sale n 1. Potenziamento del Glutine: Il sale marino, contenente cloruro di sodio, interagisce con le proteine del glutine presenti nella farina. Questa interazione è nota come legame ionico, e stabilizza il glutine. Il cloruro di sodio rinforza la maglia glutinica, rendendo l’impasto più elastico e migliorando la sua capacità di trattenere anidride carbonica e gas di lievitazione. Questo è particolarmente utile nelle farine deboli con basso contenuto proteico, in quanto la gliadina, una delle proteine del glutine, è meno solubile in soluzioni saline. n 2. Controllo della Fermentazione n Il sale influenza l’attività dei lieviti. In quantità eccessive, può disidratare le cellule del lievito per osmosi, ostacolando la loro crescita e riducendo la produzione di anidride carbonica. Di conseguenza, una quantità eccessiva di sale rallenterà la fermentazione e può portare alla morte delle cellule di lievito, compromettendo la lievitazione. Pertanto, è fondamentale dosare attentamente il sale negli impasti. Il Lievito n 1. Produzione di Anidride Carbonica n Il lievito è responsabile della fermentazione nel processo di lievitazione. Consuma zuccheri presenti nell’impasto e produce anidride carbonica come sottoprodotto. Questa anidride carbonica è intrappolata nella maglia glutinica dell’impasto, facendolo gonfiare e creando la struttura alveolare desiderata. n 2. Interazione con il Sale n L’equilibrio tra sale e lievito è cruciale. Il sale riduce l’attività enzimatica e la crescita del lievito, ma in quantità moderate, può anche regolare la fermentazione. La presenza di sale limita la produzione di anidride carbonica, impedendo una lievitazione eccessiva che potrebbe sfaldare la struttura dell’impasto. Un contatto diretto e prolungato tra il sale e il lievito può comportare un’indebolimento delle cellule di lievito, quindi è consigliabile evitare tale contatto e aggiungere il lievito in una zona separata dell’impasto. n In sintesi, il sale svolge un ruolo chiave nella modulazione della struttura e del glutine dell’impasto, ma deve essere dosato con attenzione per evitare effetti negativi sulla fermentazione. Il lievito, d’altra parte, è responsabile della produzione di anidride carbonica e della lievitazione. La comprensione di queste interazioni chimiche è fondamentale per ottenere impasti di pizza di alta qualità. Equilibrio tra Gusto e Salute n Infine, è essenziale considerare il giusto equilibrio tra sale nell’impasto e condimento per preservare la salute. La sapidità è importante, ma è responsabilità dei pizzaioli trovare l’equilibrio giusto tra sale nell’impasto e il condimento per soddisfare i gusti dei clienti senza compromettere la salute.
L’importanza del pH negli impasti
Il pH, ossia il grado di acidità o alcalinità di un impasto, è un parametro fondamentale da tenere sotto stretto controllo quando si preparano prodotti da forno lievitati come pane, pizza, focacce, brioche e tanto altro. Il pH influisce notevolmente sulla lievitazione e quindi sul volume finale, sulla sofficità, sulla fragranza e sulla conservabilità del prodotto finito. misurare e gestire correttamente il pH dell’impasto è indispensabile per ottenere lievitati ben gonfi, morbidi e fragranti. Il pH negli impasti per prodotti da forno lievitati dipende da diversi fattori: – Ingredienti utilizzati: farine con elevato contenuto proteico tendono ad essere più acide, così come i liquidi acidi come il latte e lo yogurt abbassano il pH. – Metodo di lavorazione dell’impasto: impasti lavorati a lungo o sottoposti a ripetute pieghe sviluppano acidità, abbassando il pH. – Presenza di acidi organici: gli acidi prodotti naturalmente dai latticini, dalla frutta e dai lieviti, acidificano l’impasto. – Fermentazione degli amidi: durante la lievitazione gli amidi vengono scissi in zuccheri semplici, andando incontro a fermentazione acida. – Fermentazione dei batteri lattici: i batteri lattici trasformano gli zuccheri in acido lattico, acidificando l’impasto. – Ossidazione dei lipidi: i grassi contenuti nell’impasto possono ossidarsi e formare acidi organici. – Lievito e sale: il lievito tende a rendere l’impasto più acido, il sale ha effetto alcalinizzante. – Metodo di lievitazione: lunghe lievitazioni a basse temperature creano un ambiente più acido. Quando misurare il pH negli impasti Il pH va misurato in due momenti precisi: subito dopo aver amalgamato tutti gli ingredienti, ottenendo quella che in gergo si chiama la “massa d’impasto”, e poi nuovamente nel prodotto finito e cotto, preferibilmente a livello della mollica. Il primo controllo del pH ci permette di verificare l’acidità iniziale dell’impasto e, se necessario, di intervenire aggiungendo acidi o alcali per riportarlo nel range ottimale. Il secondo controllo nel prodotto cotto serve invece a capire come il pH si è evoluto durante la lievitazione e la cottura, fornendoci preziose informazioni per migliorare il processo. Come misurare il pH dell’impasto Per misurare il pH dell’impasto appena amalgamato, il metodo migliore è utilizzare un pratico pH-metro da cucina, facile da reperire e da usare. In alternativa, si possono utilizzare delle apposite cartine tornasole per alimenti, che cambiano colore a seconda del pH. Nel prodotto finito, la misura va eseguita sulla mollica, che deve essere tritata finemente e mescolata con poca acqua distillata per ottenere una soluzione liquida su cui poter immergere la sonda del pH-metro o la cartina tornasole. È importante che la misura avvenga sempre a temperatura ambiente. Qual è il pH ideale negli impasti? Ma vediamo quali sono i valori “giusti” di pH a cui dobbiamo mirare. Per una buona lievitazione, con una temperatura ambiente sui 25°C, il pH ottimale per l’impasto si aggira intorno a 5-5,5 al massimo 6. Valori superiori a 6,5 rallentano notevolmente l’attività dei lieviti, mentre sotto 4,5 i lieviti tendono a morire e la lievitazione ne risente pesantemente. Anche la temperatura incide parecchio: con 15°C di ambiente il pH ideale scende a 5-5,5, mentre a 30°C può salire fino a 6-6,5. Analizziamo più nel dettaglio le conseguenze: pH troppo acido (sotto 5) – I lieviti vengono inibiti e non riescono a svolgere bene la loro azione lievitante. L’impasto si gonfierà poco. – Le proteine del glutine non coagulano bene, assumendo una consistenza appiccicosa e poco elastica. L’impasto risulterà appiccicoso. – I composti responsabili del sapore e dell’aroma non si sviluppano appieno. Il prodotto avrà un sapore piatto. – C’è un maggiore sviluppo di batteri acidificanti che accelerano il deterioramento dell’impasto. pH troppo alcalino (sopra 6.5) – L’attività dei lieviti rallenta, così la lievitazione è più lenta. L’impasto si gonfia con difficoltà. – Le proteine del glutine si aggregano troppo fra loro. L’impasto perde elasticità e tende a diventare gummoso. – Anche in questo caso aroma e sapore risultano attenuati. – La solubilità delle proteine è ridotta. L’impasto assorbe meno acqua, risultando consistente e duro. – La conservabilità è minore rispetto a un pH ottimale tra 5 e 6. La temperatura “ideale” per il ph La temperatura è un fattore molto importante da considerare quando si misura e si gestisce il pH negli impasti lievitati. Ecco spiegato perché: – L’attività dei lieviti è influenzata dalla temperatura. A temperature più alte i lieviti lavorano più velocemente, a temperature più basse rallentano. – Di conseguenza, il pH ottimale cambia a seconda della temperatura di lievitazione. Con impasti a 15°C il pH ideale è sui 5-5,5, a 25°C sale a 5,5-6 e a 30°C arriva a 6-6,5. – Gli enzimi del lievito che scompongono amidi e proteine in zuccheri fermentescibili lavorano meglio a temperature tra 25-30°C. Sotto i 10°C la loro attività è molto ridotta. – Le proteine del glutine che conferiscono tenacità ed elasticità all’impasto coagulano meglio a temperature fra 25-30°C. Sopra i 30°C tendono a coagulare troppo. – Gli acidi organici che contribuiscono al sapore vengono prodotti maggiormente tra 25-30°C. Temperature più alte o più basse ne limitano la produzione e il sapore risulta piatto. – Anche la velocità di molte reazioni chimiche che avvengono durante l’impasto e la lievitazione aumenta al crescere della temperatura. Per tutti questi motivi monitorare temperatura e pH in parallelo è indispensabile per una buona lievitazione e per prodotti finali ottimali. Come correggere il pH dell’impasto Qualora rilevassimo un pH troppo acido o troppo alcalino, esistono diversi metodi per riportarlo nel range ottimale e salvaguardare lievitazione e qualità del prodotto finito. Per aumentare il pH e rendere l’impasto meno acido, possiamo aggiungere bicarbonato o lievito chimico. Viceversa, per abbassare un pH troppo alcalino e acidificare la massa, sono indicati acidi come l’aceto, il latticello o il lievito acido. Attenzione però a non esagerare con le quantità, poco basta. In conclusione, monitorare e gestire correttamente il pH è un passaggio fondamentale per ottenere dai nostri impasti lievitati degni di un vero artigiano, dalla sofficità e fragranza impareggiabili. Armandoci di pH-metro e cartine tornasole possiamo finalmente ottimizzare i nostri impasti ed esaltarne al massimo le potenzialità.
L’impasto con biga: storia e consigli per ottenere una pizza leggera e digeribile
La biga, detta anche pasta acida o pasta madre, è un prezioso alleato per ottenere impasti leggeri, digeribili e dalla migliore conservabilità. Scopriamo qualcosa sulla sua storia e come utilizzarla al meglio. Le origini della biga risalgono all’antica Roma: i panettieri avevano notato che facendo riposare una parte dell’impasto, questo sviluppava acidità e aiutava a lievitare il pane. Oggi la biga viene utilizzata soprattutto per pizza, focacce e panificati. Per realizzare una biga si mescolano farina, acqua e lievito, facendola riposare per 8-12 ore. La biga viene poi aggiunta all’impasto finale. Vediamo come utilizzarla con un esempio. Per 1 kg di farina, una biga al 50% sarà di 500 g (500 g farina, 300 ml acqua, 5 g lievito). Impastiamo questi ingredienti 8 ore prima. Per l’impasto finale useremo poi 500 g farina, 300 ml acqua, 5 g lievito e 500 g di biga pronta. Otterremo una pizza leggera e digeribile! Con una biga al 75% useremo invece 750 g di preimpasto e solo 250 g di farina per l’impasto finale. Il sapore sarà più acidulo. Oltre alla percentuale di biga, ci sono altri accorgimenti per ottenere un buon risultato. Una corretta lavorazione dell’impasto è fondamentale. Dopo aver amalgamato gli ingredienti, è necessario lavorare l’impasto con le pieghe di rinforzo. Queste servono ad aumentare l’elasticità del glutine e a ottenere una maggiore alveolatura interna. Si consigliano almeno 3-4 pieghe a intervalli regolari durante la prima lievitazione. Anche la scelta della farina è importante. Le farine ad alta quota di proteine, come quelle di grano tenero tipo 0 e tipo 1, sono più indicate perché conferiscono maggiore forza e tenacità all’impasto. Meglio evitare farine con basso contenuto proteico. Se si utilizzano farine con un basso contenuto proteico (ad esempio farine di grano tenero tipo 00 con proteine inferiori al 10%), l’impasto ottenuto con la biga potrebbe presentare alcune problematiche: – Scarsa elasticità e tenacità dell’impasto: le proteine del glutine sono responsabili della struttura elastica e resistente dell’impasto. Con poca proteina l’impasto risulterà molle e poco lavorabile. – Difficoltà nel trattenere i gas prodotti dalla lievitazione: la scarsa forza glutinica non permette di intrappolare i gas in piccole bolle, creando una maglia alveolata. L’impasto tenderà a sgonfiarsi. – Maggiore difficoltà nella lavorazione: l’impasto molle e poco elastico sarà difficile da lavorare, piegare e stendere. Risulterà appiccicoso. – Prodotti finali dalla consistenza gommosa e pesante: il glutine scarso causa una struttura non alveolata e compatta nei prodotti finali dopo cottura, con conseguente pesantezza gastrica. – Conservabilità ridotta: la minor capacità di trattenere l’umidità porta a un raffermamento più rapido dei prodotti. Per quanto riguarda la lievitazione, il tempo ideale è di circa 8-12 ore a temperatura ambiente controllata. Un ambiente caldo-umido è l’ideale per attivare la fermentazione degli acidi e favorire la maturazione degli aromi. La lievitazione lenta esalta i profumi della biga. Infine, è bene ricordare che la biga va conservata in frigorifero e rinfrescata periodicamente con aggiunta di acqua e farina per mantenerne attivo il lievito. Una biga sana e ben conservata è alla base di prodotti fragranti e digeribili. In conclusione, dosando bene la biga si possono ottenere impasti digeribili e fragranti. Prova le percentuali di biga che preferisci per la tua pizza perfetta!