Considerazioni sulla Salute e Pratiche Sicure: L’affumicatura delle pizze è diventata una tendenza culinaria sempre più diffusa, offrendo un sapore affumicato e distintivo a questo amato piatto. Tuttavia, è importante comprendere le implicazioni sulla salute e adottare pratiche sicure durante il processo di affumicatura. In questo articolo, esploreremo gli aspetti cruciali da considerare per garantire una preparazione sicura e gustosa delle pizze affumicate. Esposizione ai fumi del forno: Alzando la pizza nella platea di un forno a legna per pochi secondi, è improbabile che si conferisca un sapore affumicato significativo all’impasto. L’affumicatura richiede generalmente un periodo di esposizione più lungo al fumo per permettere alle sostanze aromatiche di penetrare nell’impasto e apportare un sapore affumicato distintivo. La pratica di alzare la pizza nella platea del forno a legna serve principalmente a ottenere una cottura uniforme e una crosta ben cotta. L’esposizione al fumo durante questo breve periodo potrebbe apportare solo lievi sfumature di sapore affumicato, ma difficilmente si otterrà un risultato rilevante rispetto all’affumicatura tradizionale. Se si desidera conferire un sapore affumicato più pronunciato alla pizza, potrebbe essere necessario utilizzare altri metodi, come l’utilizzo di legno affumicato o condimenti precedentemente affumicati. Questi approcci offrono una maggiore possibilità di ottenere un sapore affumicato desiderato, ma richiedono una preparazione più specifica e un tempo di cottura adeguato per raggiungere il risultato desiderato. Quando si cuoce una pizza nel forno a legna, è inevitabile che ci sia una breve esposizione ai fumi del legno durante l’alzata nella platea. Tuttavia, diversi fattori influenzano il livello di esposizione e il potenziale impatto sulla salute. È fondamentale assicurare una buona ventilazione del forno per ridurre l’accumulo di fumi e garantire una circolazione d’aria adeguata. La durata e l’intensità dell’affumicatura nel forno a legna sono anche elementi importanti da considerare. Una breve esposizione ai fumi durante l’alzata della pizza nella platea, seguita dalla cottura sulla pietra o sulla griglia del forno, riduce significativamente l’esposizione complessiva ai fumi. Inoltre, evitare bruciature eccessive o carbonizzazioni dell’impasto contribuisce a minimizzare la formazione di sostanze dannose come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Cosa sono gli IPA La loro pericolosità dipende dalla composizione della legna, dalle condizioni di combustione e dal grado di esposizione. Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono composti chimici che si formano durante la combustione incompleta di carbonio organico, come la legna. Alcuni IPA sono classificati come cancerogeni e possono essere associati a un aumentato rischio di tumori, in particolare quelli polmonari e della pelle. La quantità e la pericolosità dei fumi dipendono anche dal tipo di legna utilizzata. La legna secca e ben stagionata produce meno fumo e sostanze nocive rispetto alla legna umida o trattata chimicamente. Inoltre, un’adeguata ventilazione dell’ambiente in cui si svolge la combustione può contribuire a ridurre l’esposizione ai fumi dannosi. Misurazione degli IPA e considerazioni sulla salute: Misurare direttamente la concentrazione di IPA su una pizza può richiedere analisi di laboratorio complesse. Tuttavia, è importante notare che l’esposizione ai fumi di breve durata durante la preparazione della pizza di solito non comporta una concentrazione elevata di IPA. Seguire le pratiche di cottura consigliate, evitare bruciature eccessive e assicurare una buona ventilazione del forno contribuiscono a ridurre al minimo l’esposizione ai composti chimici dannosi. Precauzioni e pratiche sicure: Per garantire una preparazione sicura delle pizze, ecco alcune precauzioni da adottare: – Utilizzare un forno a legna ben ventilato e assicurarsi che ci sia una buona circolazione d’aria. – Scegliere legna di alta qualità, ben stagionata e priva di trattamenti chimici. – Evitare bruciature eccessive o carbonizzazioni dell’impasto. – Monitorare attentamente la temperatura del forno per evitare la formazione di fumo eccessivo. – Seguire le linee guida sulla sicurezza alimentare locali e adottare pratiche igieniche durante la preparazione delle pizze. Qualità del combustibile utilizzato: La scelta del legno per il forno a legna è un aspetto fondamentale per garantire una cottura sicura e salutare. Utilizzare legna di alta qualità, ben stagionata e priva di trattamenti chimici riduce il rischio di formazione di composti dannosi durante la combustione. Legni come quercia, faggio o frutta sono spesso considerati opzioni sicure per l’affumicatura delle pizze. Conclusioni: L’affumicatura delle pizze può offrire un’esperienza culinaria affascinante e saporita. Se seguite le pratiche sicure e le precauzioni appropriate, l’esposizione ai fumi durante l’alzata della pizza nella platea dovrebbe essere di breve durata e a basso rischio per la salute. Assicurarsi di utilizzare un forno ben ventilato, scegliere legna di alta qualità e cuocere la pizza in modo attento sono elementi fondamentali per garantire una preparazione sicura e gustosa delle pizze affumicate. Godetevi le vostre creazioni affumicate con consapevolezza e attenzione alla salute. *Le immagini presenti sono state reperite da fonti web e non sono di mia proprietà.
Farina Manitoba: origini, caratteristiche e utilizzi della farina forte del Nord America
La farina Manitoba, soprannominata anche farina americana, si ottiene dalla macinazione di svariate tipologie di frumento tenero coltivato nelle aree del Nord America, in particolare nella regione Manitoba, una provincia del Canada da cui deriva il nome. Si tratta di un grano molto potente, capace di resistere alle basse temperature, con un’elevata percentuale di proteine. Cosa s’intende per forza della farina? Quando si nomina la “forza della farina”, si allude alla capacità della farina stessa di incorporare i liquidi durante l’impastamento e trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione. Il suo valore dipende dal contenuto proteico, nello specifico di 2 tipi: la gliadina e la glutenina che a contatto con l’acqua e per azione meccanica, reagiscono formando un complesso proteico chiamato glutine. Curiosità: la farina Manitoba deve il suo nome al territorio canadese del Manitoba, zona dal clima rigidissimo dove cresce un grano duro e resistente! Che cosa s’intende per farine “FORTI” o “DEBOLI”? E per quali usi si prestano queste farine? Il grado di forza di una farina viene determinato in laboratorio mediante uno strumento meccanico denominato alveografo di Chopin, che lavora sull’impasto. Dai dati di questi grafici si ottengono le seguenti informazioni sull’impasto: P: che indica l’indice di tenacità/resistenza dell’impasto L: che indica l’indice di elasticità dell’impasto W: che indica la forza della farina o detta anche energia necessaria per rompere l’impasto Le farine si suddividono in farine “forti” e farine “deboli”. Una farina definita “forte” o farina di forza, è una farina che possiede un elevato contenuto di glutine. Questa tipologia di farina assorbe alte percentuali di liquidi e trattiene più anidride carbonica. L’impasto risulta così più elastico, tenace e notevolmente resistente alla lievitazione grazie alla formazione di una maglia glutinica solida. L’uso di queste farine con alto valore W è ideale per impasti che richiedono una lunga lievitazione, evitando che l’impasto si afflosci e sgonfi. Alcuni dei prodotti realizzabili con queste farine sono: il pane, il pan brioche, il panettone, il pandoro, le colombe che risulteranno soffici e ben alveolati. Le farine definite “deboli”, al contrario assorbono meno liquidi, formando una rete glutinica ridotta che durante la lievitazione trattiene minore anidride carbonica. Avendo una maglia glutinica fragile, non avrà molta tenuta e di conseguenza se lavorata eccessivamente perderà la sua struttura e l’impasto risulterà liquido e appiccicoso. Le farine con basso valore W trovano il loro uso ideale nelle ricette di prodotti che necessitano di poca lievitazione e che conferiscono friabilità al prodotto come ad esempio: biscotti, torte, pasta frolla, focacce, grissini e molto altro. Come identificare la forza di una farina? Non esiste un metodo preciso se non la valutazione con l’alveografo di Chopin (di cui abbiamo parlato in precedenza). L’unico modo per riconoscere se una farina è forte o debole, è leggere il valore di W riportato sulla confezione o sulla scheda tecnica della farina. Un W elevato (sopra 250-300) indicherà una farina potente, un W basso (da 200 in giù), al contrario, una farina debole. Nella via di mezzo le farine di forza media. Che tipo di farina è la Manitoba? Per l’elevata quantità di glutine presente, la Manitoba viene definita una “farina robusta”, utilizzata per aumentare a livello di forza, tenacità ed elasticità altri tipi di farina più fragili, ma soprattutto per realizzare impasti che richiedono una lunga lievitazione, rendendo inoltre i prodotti molto più morbidi e soffici. Al giorno d’oggi si indicano con il termine Manitoba tutte le farine con un valore W maggiore di 360, qualsiasi sia l’area di produzione e la varietà di grano impiegata. I valori delle farine vengono classificati nel seguente modo: BASE: fino a W 200 – ideale per pizza in teglia, pane comune ad impasto diretto, frolla e biscotti, grissini e cracker; MEDIA: fino a W 280 – indicata per tipologie di pane particolari come baguettes e rosette, panini all’olio, pizza in pala e per la sfoglia; ROBUSTA: fino a W 360 – utilizzata per impasti lievitati che necessitano di un’alta idratazione come brioche e croissant, per panettoni, pandori e colombe, pane per hamburger e pizza a lunga lievitazione. Ideale anche per il rinfresco del lievito madre e impasti con biga e poolish.
La pizza fritta: storia e curiosità
La pizza fritta, piatto della tradizione napoletana, è una delizia culinaria che si è evoluta nel corso degli anni, diventando un piatto tipico in tutta Italia. Si narra che la ricetta sia originariamente nata nel periodo della Seconda guerra mondiale, quando la pizza al forno a legna era diventata un lusso che pochi potevano permettersi. Per questo piatto, l’impasto di pizza ripiena viene immerso nell’olio bollente e fritto fino a farlo diventare dorato. La pizza, chiusa ai bordi, si gonfia come un palloncino, dando l’impressione di un pasto ricco e abbondante, anche con poca pasta. Secondo la tradizione, l’antenato della pizza fritta sono le “zeppolelle”, pizze fritte croccanti e condite con miele, nominate dal celebre poeta Giovanni Battista del Tufo già nel Cinquecento. Nel film “L’oro di Napoli”, con Sophia Loren, la pizza fritta viene presentata come un piatto venduto per le strade dai pizzaioli napoletani, che abitavano nei cosiddetti “bassi”, appartamenti piccoli che davano direttamente sulla via di passaggio. Era il vero inizio dello “street food” in versione popolare. La pizza fritta tradizionale è ripiena di ricotta e cicoli o ciccioli, pezzi di grasso di maiale scartati dai tagli pregiati. Tuttavia, oggi esistono numerose varianti di questa ricetta, che la rendono un piatto importante della cucina napoletana e italiana in generale. Tra le varianti più diffuse troviamo la pizza fritta con pomodoro, basilico e parmigiano, quella con la genovese e il ragù napoletano, ma anche versioni in bianco, con prosciutto cotto e mozzarella o provola, con salame e mozzarella, oppure con prosciutto cotto, mozzarella e pomodoro. Basilico o origano sono ingredienti che non possono mancare. La pizza fritta è diventata così popolare che ne troviamo diverse varianti in tutta Italia. In Sicilia e Calabria prende il nome di “calzone”, mentre in Puglia è conosciuta come “panzerotto”, la cui ricetta classica è semplicemente mozzarella, pomodoro, pepe nero e parmigiano. In Emilia-Romagna, invece, è diffusa con la denominazione di “gnocco fritto” o “crescentina” nel bolognese. Qui la tradizione vuole che venga servita vuota, senza condimento, insieme ai taglieri di salumi e formaggi, con prodotti tipici del territorio. L’ultima innovazione della ricetta tradizionale è rappresentata dai “coni di pizza fritta”, croccanti e dorati, ripieni di vari ingredienti a discrezione dello Chef. Di solito si riempiono con mozzarella e pomodorini, ma anche con salame e mozzarella, wurstel, ricotta, prosciutto cotto o crudo. Inoltre, esiste anche una versione dolce della pizza fritta, spesso condita con miele, nutella, crema di pistacchio e altri ingredienti dolci. In definitiva, la pizza fritta è una specialità culinaria molto amata in Italia, che ha subito diverse evoluzioni nel corso degli anni, arricchendosi di varianti e conquistando il palato di chiunque la assaggi.
Il Malto
Il malto è un ingrediente ottenuto dalla germinazione e successiva essiccazione di cereali come l’orzo, il frumento o il mais. Durante il processo di germinazione, gli amidi presenti nel cereale vengono trasformati in zuccheri semplici grazie all’azione degli enzimi diastatici. Questi zuccheri sono utilizzati come nutrimento dai lieviti durante la fermentazione dell’impasto. Una volta completata la germinazione, il cereale viene essiccato per fermare il processo di trasformazione degli amidi in zuccheri e ottenere il malto. Il malto può essere venduto sotto forma di farina, estratto liquido o in polvere e viene utilizzato in diverse preparazioni, tra cui la panificazione, la produzione di birra e la preparazione di dolci e biscotti. L’uso del malto nella produzione di pane e birra ha radici antiche. Gli egizi utilizzavano il malto per la produzione di birra già nel 2000 a.C., mentre i romani utilizzavano il malto per addolcire il pane. Nel medioevo, il malto veniva utilizzato per la produzione di birra e la panificazione, ma il suo uso era limitato alle comunità monastiche e nobili. Con l’avvento della rivoluzione industriale, la produzione di malto e la sua diffusione aumentarono notevolmente, rendendolo un ingrediente comune nella panificazione e nella produzione di birra. Oggi, il malto viene utilizzato in tutto il mondo in diverse preparazioni culinarie e alimentari. Esistono due tipi di malto: il malto diastatico e il malto non diastatico. Il malto diastatico Contiene degli enzimi chiamati alfa e beta amilasi che trasformano gli amidi presenti nella farina in zuccheri semplici, favorendo la fermentazione e il potere fermentativo dell’impasto. Questo tipo di malto viene utilizzato per migliorare la struttura del prodotto finale, aumentarne la leggerezza e la digeribilità, oltre a favorire la colorazione della crosta e l’intensità degli aromi. Il malto non diastatico Non contiene enzimi e viene utilizzato soprattutto per conferire una colorazione più scura e un aroma più intenso all’impasto e alla crosta. La quantità di malto da utilizzare dipende dal tipo di malto e dalla quantità di farina utilizzata. In generale, si consiglia di aggiungere il malto diastatico alle farine a bassa attività enzimatica e di utilizzare il malto non diastatico per conferire aroma e colore all’impasto.